Il Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputari, l’on. Claudio Borghi, ha proposto di introdurre i miniBOT per pagare i debiti dovuti dallo Stato ai fornitori. Davanti alle obiezioni del Ministro Tria, i leader dei partiti di maggioranza hanno invitato il titolare del principale dicastero economico a trovare lui un altro modo per pagare questi debiti. Lasciamo agli esperti di economia monetaria il dibatto sui miniBOT (i quali, secondo il Presidente della Banca Centrale Europea, sono una moneta parallela all’euro e quindi illegale oppure costituiscono nuovo debito pubblico) e volgiamo lo sguardo al tema sottostante, quello dei “debiti dello Stato”, per capire se non siano un pretesto per avanzare la proposta sui miniBOT.

In primo luogo: questi debiti per lo più non fanno capo allo “Stato”. Secondo gli ultimi dati sulle richieste di certificazione dei debiti avanzate dai creditori, di questi l’11% è delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e il resto di enti pubblici, regioni, province, enti locali e servizio sanitario. In valore, poi, soltanto l’8% degli 8 miliardi di debiti dei quali i fornitori chiedono la certificazione appartiene allo Stato. La distinzione non è un vezzo ma una questione di sostanza: come può lo Stato pagare il debito di un comune se non ha la certezza che quel debito sia dovuto, che la fornitura non sia stata contestata?

In secondo luogo: ma è vero che i miniBOT faciliterebbero i pagamenti risolvendo un problema di liquidità? Pare di no, in considerazione del fatto che a partire dal 2013 sono stati numerosi i provvedimenti che hanno risolto i problemi di finanziamento, sia con nuovi fondi diretti dalla finanza pubblica sia con il finanziamento a tassi contenuti dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Terzo punto: fa gridare allo scandalo l’atteggiamento di uno Stato che non paga i propri debiti ma è implacabile quando deve incassare un credito. Giusto. Ma non sembra utile inventarsi miniBOT per pagare i fornitori e aiutarli quindi a pagare a loro volta i crediti che l’erario vanta nei loro confronti. Infatti già oggi un fornitore in debito con l’erario ma in credito nei confronti di una pubblica amministrazione può compensare i due importi, riducendo il proprio debito per un valore corrispondente al credito. E se non ha debiti nei confronti dell’erario può farsi anticipare da una banca l’importo delle fatture non ancora pagate dall’amministrazione pubblica.

Ma è così rilevante la distinzione tra Stato ed enti locali su chi sia il debitore? Certo che lo è, perché se nello stesso paese un’amministrazione è buona pagatrice e un’altra pessima pagatrice, la responsabilità della differenza fa capo alle persone, ai sistemi locali, a problemi che non si superano con una normetta ma con un’attento e faticoso coinvolgimento della periferia in un processo di miglioramento, sotto la guida dal centro. Come nel caso controverso dell’imprenditore Bramini, è importante sapere se il debitore sia un ufficio di un ministero romano o uno di quei consorzi pubblici che in Sicilia nascono con il fallimento già scritto nel piano economico.

Un buon giornalismo d’inchiesta allora dovrebbe andare a caccia dei nomi. I nomi, per favore, i nomi. Li trovate tutti, buoni e cattivi, secondo il principio “name and shame”, qui sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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